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Il Paradosso del Plusvalore Marxista

Scritto da Redazione.

- Messaggio rivolto al mondo del lavoro e dei sindacati -

La malattia  del  plusvalore

Nei corpi sociali le idee sbagliate sono come le malattie del corpo umano: Marx con la teoria del plusvalore ha detto che il datore di lavoro sfrutta il lavoratore appropriandosi parassitariamente del reddito di capitale. E' nato così il sindacato, strumento di rivoluzione, con lo scopo di rivendicare, sotto forma di aumento dei salari, il plusvalore.

L'errore di questa teoria sta nel fatto che, ponendosi l'ipoteca morale sul plusvalore, viene meno nel datore di lavoro l'interesse a contrarre. Si pongono così le premesse per il lavoro senza contratto che, a ben guardare, altro non è che il ritorno alla schiavitù, realizzata nel capitalismo di stato, con l'imposizione d'autorità dell'ammontare dei compensi tipica dei regimi socialisti, nel capitalismo liberale con la flessibilità dei salari. Qui il salario, arbitrariamente ridotto dai vertici bancari con le spinte inflazionistiche, non e più un diritto e nemmeno un'elemosina, ma è come il dosaggio della quantità di mangime dato dall'allevatore di bestiame secondo la regola dei massimo profitto.

Ecco perché riteniamo doveroso segnalare alla Presidenza della Repubblica, alla Corte costituzionale, al Governo, al Parlamento, al Senato, alla Magistratura dei lavoro, ai Sindacati, ai Cittadini Italiani che, con l'avvento della flessibilità salariale, l'articolo primo della Costituzione italiana è stato sostanzialmente modificato nella nuova formula: “L'Italia è una Repubblica fondata sull’usura”.

Con l'avvento dalla globalizzazione e dell'apertura dei confini alla libera concorrenza anche nel mercato dei lavoro, i sindacati sono stati sostanzialmente paralizzati e posti nella impossibilità di operare.

Se il mondo del lavoro vuole riacquistare la sua dignità giuridica e morale deve cambiare le linee strategiche della sua ideologia. Alla rivendicazione del plusvalore va sostituita la rivendicazione dei valore indotto, cioè la proprietà popolare della moneta all'atto dell'emissione come reddito di cittadinanza in attuazione peraltro del 2° co. dell'art. 42 della Costituzione Italiana che sancisce "l'accesso alla proprietà per tutti". Del resto questo principio già opera con la Cassa integrazione con cui è corrisposto al disoccupato "reddito" e non "salario", perché manca il corrispettivo dell'attività lavorativa. Se l'erogazione di reddito è un principio valido lo deve essere per tutti e non solo per i “raccomandati di ferro" (v. lavoratori Fiat   N.d.R.).

Col reddito di cittadinanza si sostituisce all'attuale (pseudo) democrazia usurocratica la democrazia integrale in cui il popolo non ha solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria che di quella politica è parte costitutiva essenziale e quindi irrinunciabile.

In altri termini, col reddito di cittadinanza si rafforza una volta per sempre la posizione del contraente più debole e lo si pone in condizioni di poter accettare il contratto dì lavoro perché lo ha voluto e non perché è stato costretto ad accettarlo per necessità.

La differenza tra la rivendicazione dei plusvalore e del valore indotto sta nel fatto che in quello le parti sono in conflitto   per ripartire per altro un valore incerto a causa del normale rischio d'impresa   in questo le parti si uniscono per creare un valore nuovo, certo e di costo nullo, analogo a quello del francobollo d'antiquariato creato per convenzione tra collezionisti. Questo valore nuovo si aggiunge al reddito di lavoro sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.

                                                                 Giacinto Auriti

 

Fonte: www.abruzzopress.it il 29-04- 04