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STORIA SCONOSCIUTA: L'AFFARE BAFFI FU SCONTRO TRA POPOLO E FINANZA

Paolo Baffi

 

 

 

STORIA SCONOSCIUTA: L'AFFARE BAFFI FU SCONTRO TRA POPOLO E FINANZA

"Come ci hanno impoverito e coloro che sapevano".

 

Luglio 1981, una svolta epocale per il nostro Paese.

In quella fatidica data avvenne la prima collocazione di titoli del debito pubblico italiano sotto il nuovo

regime di politica monetaria inaugurato dal “divorzio” Bankitalia/Tesoro.

Come ci ricorda l’ex direttore di Filiale di Banca d’Italia, dott. Paolo Tanga, prima di detta

riforma, ossia fino al momento in cui la guida dell’istituto era affidata al dott. Paolo Baffi:

<< La Banca d’ Italia era un organo tecnico direttamente dipendente e controllato dal Tesoro dello Stato, il quale disponeva sistematiche ispezioni all’istituto. Di conseguenza le “considerazioni finali”, non potevano prescindere da quanto imposto dal potere politico>>.

La Banca centrale nel suo operato doveva sottostare a determinate decisioni politiche. 

Questo fatto è spesso additato come fenomeno “partitocratico”, come evento negativo, come se al di fuori

dei partiti non potessero esistere privati interessi.

 

Si parlava, infatti, di “mancata autonomia della banca centrale”. Osserviamo come il modus operandi sia

sempre lo stesso: individuato il problema, in questo caso la corruzione del sistema partitocratico, invece di

ristabilire la legalità si sfrutta l’occasione per raggiungere fini inconfessabili.

Ossia, esautorare lo Stato dal potere con il quale rappresenta i cittadini per favorire l’ingresso

all’alta finanza internazionale che spolpa i popoli di tutto il mondo.

Viene alla mente una frase del procuratore generale della Cassazione, dott. Bruno Tarquini, che parlando

con il Prof Auriti gli disse, a proposito della condizione di subordinazione rispetto alla banca centrale:

<< È una cosa molto importante perché esclude ormai la possibilità della buona fede>>

(come dire che i politici sono tutti in malafede mentre i banchieri sono la banda degli onesti – ndr)

 

Ricordiamo che nonostante il diffuso malcostume la politica era, almeno formalmente, espressione della

volontà popolare, mentre oggi non si conserva neppure la parvenza di quanto auspicato dalla carta

costituzionale.

E’ bene puntualizzare che anche prima dello “scisma” del 1981 la banca centrale emetteva prestando,

ponendo la politica in condizione di subordinazione rispetto al sistema bancario. Questo fatto a sua volta

si riflette sui cittadini, i quali vengono espropriati ed indebitati per tutto il valore, indotto dal popolo stesso

nel simbolo monetario che viene da essi accettato per scambiare beni e servizi.

 

In tale situazione è ovvio che la corruzione sia endemica al sistema e la soluzione non può essere quella

di escludere completamente il popolo. Semmai deve essere quella di rendere al popolo la Sovranità per

la quale si è battuto e restituire allo stesso la possibilità di non indebitarsi, il che significa “democrazia

integrale ed effettiva”, come auspicava Auriti.

 

In sostanza, occorre rivendicare per il popolo il “diritto a non indebitarsi” con sistema bancario, sia esso nazionale o straniero. Tale era anche l’auspicio del grande pensatore americano, Ezra Poundi, il

quale aveva colto l’esistenza di una problematica monetaria, senza però avere individuato la soluzione: il Valore Indotto scoperto dal Prof Auritiii.

 

Per capire bene cosa è successo occorre comprendere che alla base di tutto vi è un conflitto di interessi.

Da una parte il popolo di lavoratori e imprenditori e dall’altra i cosiddetti “rentier”, coloro i quali vivono di

rendita speculando sui titoli di debito pubblico unitamente ai grandi banchieri che si sono arrogati la

proprietà della moneta.

 

Detto ciò, dobbiamo tenere ben presente cosa giovi al popolo e cosa invece alla élites, che dapprima era

di carattere nazionale per poi assumere via via una connotazione internazionale. La classe dirigente

apolide è senza dubbio la più pericolosa in quanto le sue sorti non sono legate in nessun modo a quelle

del paese in cui vivono.

Essi si muovono con estrema disinvoltura spostando capitali da un continente ad un altro avendo come

unico obiettivo il profitto senza limiti.

 

Ora proviamo a ricostruire i fatti dall’inizio.

Negli anni ’70 - ’80 l’indice dell’inflazione era piuttosto sostenuto con una variazione tra 17% e 20%iii.

Successivamente alla raggiunta indipendenza dell’istituto centrale l’inflazione prese a diminuire,

esattamente come qualcuno auspicava.

Sono note le dichiarazioni dell’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, che in un’intervista dichiara come

l’obiettivo della separazione tra i due poteri fosse quello di moderare l’inflazione e dare autonomia alla Banca Centraleiv.

Già nel 1985 essa si aggirava intorno al 8,6% per procedere in continuo calo fino ad arrivare ai giorni

nostri, dove l’inflazione è negativa.

 

Ora chiediamoci se il tenore di vita degli anni 70-80 è paragonabile all’attuale o se non si è avuto un

generale peggioramento. Chi di noi non ricorda il continuo tamtam mediatico secondo il quale occorreva imbrigliare l’inflazionev?

Tale obiettivo si poteva ottenere conferendo alla Banca d’Italia totale autonomia liberandola da lacci e

laccioli inutili.

Le doglianze che da più parti provenivano riguardavano i vincoli seguenti:

  1. La necessità di fissare Il tasso di sconto di concerto con il Ministero del Tesoro.

  2. Il vincolo di portafoglio posto a carico delle banche commerciali, che le obbligava a detenere unaquota determinata di titoli di Stato.

  3. L’onere per la Banca d’Italia di acquistare titoli eventualmente invenduti.

 

Quest’ultimo accorgimento permetteva di evitare picchi verso l’alto del tasso di interesse, che

dunque veniva contenuto. Tale aspetto aveva un importante risvolto pratico, cioè quello di

favorire l’economia reale a discapito delle attività finanziarie che risultavano meno profittevoli.

 

Il Tesoro godeva inoltre di un ulteriore strumento per finanziare le spese iscritte a bilancio: l’apertura di

credito presso un c/c in Banca d’Italia al quale poteva attingere fino ad un ammontare pari al 14% per

cento della somma in bilancio.

 

Gli italiani, è noto, amavano investire nel mattone e assicurarsi una casa rifuggendo dunque la

speculazione finanziaria, fatta eccezione per i tradizionali BOT e BTP, strumento di risparmio.

 

C’è da chiedersi se questo desiderio di concretezza della popolazione coincide con quello della classe

dominante avvezza a vivere di rendita.

Ovviamente no.

Da qui si ricerca un modo con cui dragare ricchezza prodotta dal popolo dall’economia reale

verso la finanza speculativa che vive parassitariamente ed è diretta da uno sparuto gruppo di

apolidi.

Ecco il fulcro della questione.

 

Dunque come agire?

Il pretesto lo si trova all’epoca del secondo shock petrolifero degli anni intorno al 1976.

 

A tal proposito è sconcertante la candida confessione dell’allora Ministro del Tesoro, Beniamino

Andreatta, il quale beatamente ci rende edotti come, nel anno 1975, il P.I.L. fu abbassato di un paio di

punti grazie ad un’azione voluta e mirata in tal senso.

 

Ecco quali furono le sue parolevi:

<<La soluzione classica sarebbe stata quella di una stretta del credito accompagnata da

una stretta fiscale che, come nel 1975, avesse creato una recessione con una caduta di

alcuni punti del prodotto interno lordo>>.

 

Quindi l’allora Ministro del Tesoro, espressione della maggioranza parlamentare designata dal popolo,

tranquillamente confessava come si inducono le crisi trascinando verso il basso il PIL nazionale lasciando

disoccupati i cittadini e facendo chiudere aziende.

La manovra era piuttosto semplice e consisteva essenzialmente in un inasprimento fiscale e una stretta

del credito bancario. Ecco perché continuiamo a dire che, in realtà, non abbiamo mai goduto di vera

sovranità monetaria.

La sovranità deve appartenere esclusivamente al popolo (Art. 1 Costituzione della Repubblica) e non

dovrebbe mai costringere i cittadini a subire, impotenti, le conseguenze di un sistema giocoforza

depauperante.

Le crisi economiche, i fallimenti, la disoccupazione, non sono apparse dopo il 1981 ma c’erano anche

prima, certamente attenuate, ma affatto assenti.

D’altra parte, se fossimo stati davvero sovrani, ossia padroni in casa nostra, avrebbero mai

potuto svendere il principale strumento di autonomia e di benessere di un popolo come quello

della sua moneta?

 

Dalle dichiarazioni di Andreatta si desume come l’obiettivo fosse quello di conferire alla banca di

emissione il più totale controllo sull’offerta di moneta

E’ di immediata evidenza che per controllo dell’offerta di moneta si intendesse un contingentamento della

massa monetaria verso il basso. Una deflazione (come sta accadendo oggi). Ciò al fine di rafforzare il

potere d’acquisto del denaro stesso da parte dell’emittente e dunque il potere in mano al sistema

bancario.

Meno denaro circola, maggiore è il potere che si concentra nelle mani di coloro che possiedono

la moneta. E così si spiega anche perché la scala mobile venne definita da Andreatta “demenziale”.

Essa salvaguardava il potere d’acquisto da parte del ceto dei lavoratori mentre, per lo stesso motivo,

danneggia lo speculatore.

L’ex Ministro del Tesoro arriva perfino a sostenere che per attutire il contraccolpo della crescita del prezzo

del petrolio occorreva “riallineare l’inflazione”, intendendo con tale espressione “diminuire la massa

monetaria in circolazione” (il che si traduce con “popolo italiano, tira la cinghia” - ndr).

 

A un tratto qualche equilibrio iniziò a scricchiolare e si decise di spingere sull’ acceleratore. L’interesse

della classe dominante apolide divenne prepotente e premette sulla classe dirigente italiana per avere

certamente in pugno un Paese: banche, energia e materie prime, sono i punti di interesse sui quali

puntare.

 

E si aprono i giochi.

Come mettere le mani sulla banca centrale? Come renderla maggiormente funzionale al

depauperamento delle risorse dell’Italia? In poche parole: come pianificare  l’“assalto alla Banca

d’ Italia”?

 

Reca data Febbraio 1981 la famosa lettera con cui il tesoriere Nino Andreatta dispose il divorzio tra

Tesoro e Banca d’ Italia conferendo alla stessa l’auspicata indipendenza dalla politica nazionale.

 

E’ pertanto chiaro che lo scontro vide contrapposta finanza internazionale e classe dirigente

italiana.

 

L’ attacco alle istituzioni e agli uomini di Banca d’ Italia tuttavia avvenne per gradi.

Esattamente nel Marzo del 1979 un’indagine della Procura di Roma, che si verificherà poi infondata,

travolse la dirigenza di allora: il direttore Mario Sarchielli varcò le porte del carcere, mentre al governatore dott. Paolo Baffi, venne risparmiata l’umiliazione del carcere solo in considerazione della sua etàvii.

Entrambi gli imputati furono prosciolti nel 1981. Giusto il tempo necessario per attuare la separazione tra

Banca d’ Italia e Tesoro.

 

Grazie alla testimonianza del dott. Paolo Tanga, che ringraziamo, siamo in grado di ipotizzare i motivi per

cui la dirigenza di allora venne prese di mira. Il dott. Tanga ci dice:

 

<< Verosimilmente non erano gradite alcune posizioni del dott. Baffi sulla moneta. Egli, infatti, minimizzava la tematica dell'inflazione affermando che l'unico problema dell'inflazione riguardasse la necessità di tutelare le categorie deboli e, queste, in Italia erano tutelate. Difatti, nel nostro Paese, era usato il sistema della scala mobile alla quale venivano agganciate le retribuzioni e le pensioni. Se qualcuno gli sussurrava che i risparmiatori non venivano tutelati dall'inflazione, lui rispondeva garbatamente che i saloni delle filiali dell'Istituto di emissione erano affollati di sottoscrittori di titoli del debito pubblico, nonostante che le cedole dei titoli (gli interessi) fossero inferiori al tasso di inflazione. E soggiungeva che, evidentemente, i risparmiatori sommano il capitale accumulato, gli interessi percepiti e gli ulteriori risparmi e, vedendo che in termini reali quello che si ritrovano è superiore a quello che avevano all'inizio, sono soddisfatti di quello che hanno. Da queste affermazioni si comprende che l'Italia non aveva bisogno di varare il divorzio Tesoro-Banca d'Italia, concordato tra Andreatta & Co e il nuovo Governatore succeduto a Baffi.

Ciò anche perché era interesse dell'Istituto di emissione poter sottoscrivere liberamente i titoli pubblici. Infatti la banca centrale italiana, in base alla convenzione sul Servizio di Tesoreria, versava annualmente allo Stato l'1% della circolazione e sarebbe bastato che il Tesoro emettesse titoli pubblici con cedola di poco superiore all'1% per ottenere un guadagno dalla sottoscrizione dei titoli pubblici.  "Il divorzio" impediva di mantenere questo interesse. Era il primo passo verso quello sconvolgimento del sistema pubblico delle banche, molto caro al prof. Baffi, che sta portando l'Italia verso la perdita della ricchezza reale attraverso l'intermediazione bancaria, nel frattempo divenuta di proprietà straniera. 

Con la legge Amato n.218/90, anziché procedere all'iniezione di capitali pubblici nelle fondazioni bancarie, operazione che avrebbe consentito allo Stato di rientrare facilmente dall'esborso monetario causato da un indebitamento straordinario, si optò per uno stravolgimento giuridico originato grazie alla collaborazione della Banca d'Italia.  Anche l'intervento obbligatorio sulle banche popolari di rilevanti dimensioni e, da ultimo, quello sulle banche di credito cooperativo si pongono sulla stessa direttrice per aumentare i danni alla nostra economia. Sono troppi gli anni in cui scelte strategiche nefaste si susseguono e continuano ad essere proposte: ci deve essere un’unica regia>>.

 

Potremmo dire “chi tocca i fili muore”?

Il dott. Paolo Baffi e il vice Sarcinelli furono messi alla gogna per aver tentato di salvaguardare l’interesse

nazionale. Le posizioni riguardo al mantenimento del potere d’acquisto da parte del popolo, nonché

l’avversione all’entrata nello SME, cioè quel serpente monetario che stabiliva una ristretta banda di

oscillazione del cambio della lira, non erano gradite.

Le redini dell’istituto centrale passarono dunque ad Azeglio Ciampi, decisamente più accomodante al

riguardo. Con lui, poi premiato addirittura con la carica di Presidente della Repubblica, la lettera di

Beniamino Andreatta fu accolta in un battito di ciglia e il divorzio divenne effettivo.

Naturalmente ciò non bastò. La finanza internazionale è ingorda e non si accontenta.

Ci si chiese, pertanto, come estrarre ancora più valore da tutti coloro che lavoravano.

Un’idea fu quella di sperimentare lo SME, ossia il papà dell’euro.

Fu una scoperta diabolica: i cambi fissi aumentarono il trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto,

ma questo potrebbe essere argomento per un prossimo articolo.

 

Al lettore per ora basti la consapevolezza che questo è lo spirito perverso del capitalismo.

Un meccanismo spietato che opera attraverso un sistema creditizio viziato all’origine, in grado

di estrarre sempre maggiori quantità di ricchezza prodotta dal lavoro dei popoli.

 

07.06.2016

 

Per Scuola di Studi Giuridici e Monetari,

Dott.ssa Sara Lapico

 

i Ezra Pound, L’ abc dell’economia e altri scritti, Bollati Boringhieri, 1994.

 

iiGiacinto Auriti, Il Paese dell’Utopia, Solfanelli, 2013.

 

iiiInflazione. Costo della vita nel corso di 140 anni, http://cronologia.leonardo.it/inflazio.htm, 06/2016.

 

ivEnrico Letta sul "Divorzio" del 1981 tra Banca D'Italia e Ministero del Tesoro, https://www.youtube.com/watch?v=uSefocmsw10, 06/2016.

 

vGuglielmo Tagliacarne, 1974: l'anno dell'inflazione galoppante, http://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/1975/I/art/R75I002.html, 06/2016.

 

viIl Sole 24 ore, Il divorzio tra Tesoro e Bankitalia e la lite delle comari: uno scritto per il Sole del 26 luglio 1991, http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=891110, 06/2016.

 

 

viiIl Sole24ore, Quel 24 marzo di 37 anni fa. L’attacco politico-affaristico-giudiziario alla Banca d’Italia, http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2016/03/24/lattacco-politico-affaristico-giudiziario-alla-banca-ditalia-del-1979/ , 06/2016.