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LO SHUTDOWN AMERICANO E LE FANTASIE DEI SOVRANARI DI CASA NOSTRA

Scritto da gianluca monaco.

LO SHUTDOWN AMERICANO E LE FANTASIE DEI SOVRANARI DI CASA NOSTRA

 Nel mese scorso avrete sicuramente sentito parlare dello shutdown americano, ovvero del blocco delle attività federali, pericolo al momento scongiurato con il raggiungimento di un accordo al Senato.

 Cosa è successo esattamente?

Allora, come in tutti i Paesi con ordinamento democratico (almeno nella forma), anche negli Usa l'organo legislativo (cioè il Congresso, formato da Senato e Camera dei rappresentanti), essendo l'organo più direttamente rappresentativo della sovranità popolare, si colloca un gradino più sopra rispetto agli altri poteri dello Stato, cioè rispetto al potere giudiziario (magistratura) e rispetto al potere esecutivo (il Governo). Ci sarebbe in verità anche l'istituzione preposta al governo della politica monetaria, cioè la Banca Centrale, ma questa istituzione non è contemplata nelle Costituzioni democratiche tra gli organi dello Stato, nonostante lo sia invece il potere di battere moneta. E vabbè...

Fatto sta però, che anche la Banca Centrale, così come la magistratura e il Governo, se pur nei rispettivi ambiti di autonomia e indipendenza, si collocano in posizione sempre subordinata rispetto al Parlamento, nel senso che sono assoggettati in modo continuativo alla potestà legislativa dell'organo rappresentativo della sovranità popolare (salvo nell'UE, dove Commissione Europea e BCE non sono assoggettati né assoggettabili a nessuna potestà parlamentare e i Trattati istitutivi sono perciò incostituzionali).

Per farla breve, negli ordinamenti democratici, il Parlamento ha il potere di approvare (o di non approvare) le leggi, nel rispetto dei princìpi della Costituzione, il Governo (anche quello monetario della Banca Centrale) deve dare esecuzione alle leggi approvate e la magistratura le applica (laddove è chiamata o è tenuta ad applicarle).

 Ma torniamo all'America.

Come funziona la finanza di una pubblica amministrazione, nel caso specifico del Governo Federale?

Or bene, per quanto spiegato poc’anzi, il Governo (con a capo il Presidente Donald J. Trump), come tutti gli esecutivi dei Paesi democratici moderni, deve presentare all’approvazione del Parlamento (di ciascuno dei due rami del Congresso) il progetto di legge di bilancio riguardante l’anno fiscale a venire, cioè per il 2018, e per eventuali investimenti di più lungo periodo.

Cosa c’è nel progetto di legge di bilancio?

Vi sono indicate, da un lato, le intenzioni di spesa (uscite) a carico dell’amministrazione del Governo Federale (insomma dello Stato) previste per l’anno 2018 e per investimenti futuri, distinte per capitoli di spesa e relativi importi, riguardanti i diversi settori di competenza, che ammontano a un totale di quasi 4.100 miliardi di dollari, e dall’altro lato la cosiddetta copertura finanziaria, cioè le previsioni di entrata (sempre per 4.100 miliardi di dollari…perciò si chiama bilancio).

Se il Congresso si ritiene d’accordo con gli stanziamenti di spesa e con la loro copertura finanziaria così come proposti dal Governo, allora approva il bilancio e il Presidente può promulgare la legge.

Se invece il Congresso ritiene la copertura finanziaria inadeguata oppure è in disaccordo sulle modalità di impiego della spesa, allora non approva il bilancio e le attività governative non essenziali vengono bloccate (“Nessuna somma potrà esser pagata dal Tesoro se non in conseguenza di stanziamenti disposti con legge. E un regolare bilancio preventivo e consuntivo delle entrate e delle spese di danaro pubblico dovrà essere periodicamente pubblicato” - Art. 1 Sez. 9 della Costituzione USA).

Nel nostro caso, è successo che il Senato non aveva approvato la ripartizione della spesa pubblica nei modi proposti dal Governo (ma ora hanno trovato un temporaneo accordo) ed è dunque scattato lo shutdown, cioè il blocco dei fondi federali. Significa che i fondi sul conto del Tesoro ci sono (o comunque sono reperibili), ma il Governo non può disporne, perché il Congresso non si è detto d’accordo sul modo di impiego. Là si usa così.

 Ma qui, udite udite, viene il bello! E perché viene il bello?

Perché questo shutdown ha scatenato la fantasia, peraltro del tutto fuori luogo, sia dei complottisti che dei sovranari di casa nostra, che non perdono mai occasione per fare brutte figure.

Dei complottisti, perché hanno subito fantasticato uno shutdown causato da mancanza di fondi. Avete presente quelle affermazioni tipo “La Federal Reserve è una banca privata e si rifiuta di dare soldi al Governo Trump!!!”

Dall’altra parte, puntualissima è arrivata la risposta saccente e denigratoria dei sovranari, sedicenti ultimi depositari dell’ABC dell’economia, risposta assai più ridicola della sparata dei complottisti.

Cosa avrebbe messo il Governo Trump dal lato delle entrate, secondo la fantasia dei sovranari de noantri? Cosa avrebbe messo, secondo la fervida immaginazione di questi ego-nomisti sovranari (gente con la laurea nell’ABC dell’economia, eh!), che rivendicano una sovranità monetaria mai esistita e che, anziché limitarsi a scrivere due fregnacce sui social, hanno invece voluto strafare, e si sono (alcuni di loro) addirittura candidati come consulenti economici nelle liste di importanti partiti alle prossime elezioni politiche del 4 marzo?

Ebbene sì, secondo questi illustri ego-nomisti, il Governo Trump avrebbe messo come copertura finanziaria nientepopodimenochè….indovinate….

.…la stampa di 4.100 miliardi di dollari da parte della Banca Centrale, la Federal Reserve of America!!!

Eh sì! Perché gli Stati Uniti hanno la sovranità monetaria! Quelli stampano!

E certo! Il Governo americano prima spende e dopo incassa! Non è mica come una famiglia!

E sennò come farebbero ad esistere i dollari! Il debito pubblico è la ricchezza dei cittadini!

Roba da piegarsi dal ridere (o dal piangere)!

Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò!

 In verità, nel bilancio previsionale presentato dall’amministrazione Trump, dal lato delle entrate previste, a copertura delle spese previste, ci sono, né più né meno, le stesse identiche voci di un qualsiasi altro bilancio di una qualsiasi altra pubblica amministrazione di un qualsiasi altro Paese moderno.

Ossia ci sono le entrate previste del cosiddetto gettito fiscale (avete presente tasse, imposte, contributi, sanzioni e altri introiti, proventi o rendite?), poi c’è la previsione di rifinanziamento del debito pubblico in scadenza e infine, in caso di disavanzo (cioè di entrate insufficienti), c’è la previsione di finanziamento del deficit corrente.

Come avvengono il rifinanziamento del debito in scadenza e il finanziamento del deficit di bilancio?

Provvede forse la Federal Reserve mediante accredito diretto del conto del Tesoro (cioè stampando dollari, se pur in forma digitale)?

No, un simile intervento è vietato dalle leggi che disciplinano i rapporti tra pubblica finanza e politica monetaria (quale il Federal Reserve Act del 1913). E come abbiamo detto, sia il Governo Federale che la Banca Centrale sono assoggettati alle leggi del Congresso parlamentare, come in qualsiasi altro Paese democratico (salvo UE).

Il Governo non può chiedere né obbligare la Banca Centrale a concedere finanziamenti e la Banca Centrale non può essere obbligata né può concederli, neanche acquistando titoli pubblici di nuova emissione sul mercato primario, ossia come prestatrice di ultima istanza (Accord del 1951, che è l’equivalente del Divorzio Tesoro/Banca d’Italia del 1981).

Tuttavia va detto che, essendo l’esercizio della potestà legislativa una prerogativa del Congresso, esso potrebbe, qualora vi fosse una necessità o una volontà politica in tal senso, pur sempre modificare o riformare le leggi vigenti (cosa che invece non può fare nessun Parlamento nazionale dell’Unione Europea senza violare i Trattati Europei). Ma la volontà politica, in verità, pare procedere sempre più in tutt’altra direzione, anche negli Usa.

Il rifinanziamento del debito in scadenza e il finanziamento del deficit corrente avvengono dunque mediante il collocamento all’asta (fuori Borsa) di titoli del debito pubblico sul mercato finanziario, cioè sul mercato dove affluiscono i risparmi.

Per la legge della domanda e dell’offerta, maggiore è la richiesta sul mercato di un determinato titolo o prodotto finanziario (vecchio o nuovo, pubblico o privato che sia), più alto sarà il prezzo che l’investitore è disposto a pagare per averlo e dunque minore il rendimento.

Il collocamento non avviene, come ovvio, mediante contrattazione diretta tra Tesoro e investitore, bensì con l’intermediazione di istituti finanziari specializzati e autorizzati ad operare sul mercato all’ingrosso (cosiddetti primary dealers specialisti in titoli di Stato), scelti dal Tesoro tra quelli aventi particolari requisiti patrimoniali e di volumi di acquisti e di negoziazioni (praticamente le maggiori banche internazionali). L’asta è condotta dalla Banca Centrale e, man mano che gli specialisti acquistano i vari titoli del debito pubblico, essa provvede a trasferire la liquidità, corrispondente al prezzo offerto, dal conto della banca dealer a quello del Tesoro. I primary dealers provvedono successivamente alla negoziazione dei titoli sul mercato secondario. Tra i principali specialisti in titoli di Stato autorizzati ad operare sul mercato primario Usa, ma anche di Giappone, Regno Unito, Italia o Francia, troviamo Barclays, BNP Paribas, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, JP Morgan, Merrill Linch, Morgan Stanley, Nomura, Sociètè Gènèrale, UBS.

Qualora il mercato finanziario tenda verso una situazione di deflazione (caduta dei prezzi dei titoli e alti rendimenti) o di carenza di liquidità, le Banche Centrali possono intervenire con operazioni non convenzionali di allentamento monetario (Quantitative Easing), che consistono in operazioni di acquisto di attività finanziarie (in particolare titoli di Stato, ma anche di privati) sul mercato secondario, cioè sul mercato nel quale vengono negoziati “vecchi” titoli già in circolazione. Questa operazione non comporta un accredito di “nuova moneta” sul conto del Tesoro, bensì solo sul conto dell’investitore che vende il titolo. Tuttavia, tra gli effetti del Quantitative Easing vi è anche quello di contenere i rendimenti dei titoli di Stato e di ridurre quindi le pressioni sul debito pubblico. Negli Stati Uniti o in Giappone, i Governi possono approfittare della situazione di bassi rendimenti, prossimi allo zero, e dell’abbondanza di nuova liquidità primaria, per innalzare il tetto del debito pubblico, ossia per contrarre nuovi prestiti con il mercato finanziario. Nell’Unione Europea invece i Trattati impongono il vincolo di pareggio di bilancio (ormai costituzionalizzato), anche quando i tassi di interesse risultano vantaggiosi, ed anzi, in forza degli accordi di Fiscal Compact, si dovrebbe procedere verso consistenti avanzi (entrate fiscali>uscite), al fine di favorire il rientro dei debiti pubblici verso un utopico rapporto debito/pil del 60%.

 In definitiva, anche negli Stati Uniti, come in tutti i Paesi moderni ad economia capitalistica, in virtù dell’affermato e ormai consolidato principio di indipendenza del governo della politica monetaria (affidato alla Banca Centrale, pubblica o privata che essa sia) dal governo della politica fiscale (affidato all’autorità politica), la spesa pubblica non deve essere fonte di creazione di nuova liquidità monetaria (almeno non direttamente), dovendo invece essa limitarsi a prelevare (con le cattive o con le buone) e a redistribuire la liquidità già esistente, dei contribuenti (con le cattive) e/o degli investitori (con le buone).

A nulla vale obiettare che si tratta di scelta politica, perché l’ordinamento economico e monetario, come tutto l’ordinamento sociale in genere, sono sempre frutto di scelte politiche e non di certo conseguenze di leggi divine o naturali, come sono invece la fisica, la chimica, la biologia o la geologia.

 A questo punto, dovremmo essere tutti assaliti da un dubbio, più che legittimo, almeno sul piano della teoria pura.

Siamo infatti di fronte ad una conclamata evidenza, ossia lo Stato, con la spesa pubblica, non deve fabbricare il denaro, né direttamente né finanziandosi dalla Banca Centrale. Lo deve chiedere infatti ai cittadini, in qualità di contribuenti o in qualità di risparmiatori.

Ma qui ci imbattiamo in un’altra conclamata evidenza, cioè che neanche i cittadini fabbricano il denaro. Possono al più fabbricare navi e palazzi, ma non possono fabbricare il denaro.

E’ vero che la Banca Centrale può emettere nuova liquidità acquistando titoli in possesso di privati, ma tale possesso di titoli da parte del privato presuppone una sua precedente liquidità (che deve essere spiegata) con la quale, in un tempo remoto, procedette all’acquisto del titolo. Sul piano della teoria pura, ci sembra di essere di fronte ad un dilemma del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina”.

E allora? Come si risolve la questione?

Dobbiamo risolverla, se vogliamo parlare davvero di sovranità monetaria. Perché chi ha il potere di fabbricare il denaro e di fissare le condizioni alle quali fabbricarlo o meno, ha evidentemente anche la sovranità monetaria. E come abbiamo visto, non sono i cittadini e neanche lo Stato, quale istituzione rappresentante della sovranità dei cittadini.

Chi fabbrica per primo il denaro? Ne manca solo uno all’appello. Il sistema bancario.

Tutte le più recenti tesi di illustri economisti (quali J.K. Galbraith, N. Kaldor, M. Allais, A. Graziani, B. Maris ed altri) indicano verso questa direzione e tutte le più recenti dichiarazioni rese dalle principali Autorità Monetarie (quali la Bank of England, la Banca Nazionale Svizzera, la stessa BCE, la Banca dei Regolamenti Internazionali) lo confermano ormai ufficialmente.

E allora possiamo pacificamente concludere (in barba alle fantasie dei sovranari di casa nostra) che la Banca Centrale (pubblica o privata che sia) non è un organo dello Stato democratico, al servizio della sovranità di tutti i cittadini, bensì l’istituzione di vertice al servizio di un potere usurocratico, nell’ambito di un sistema usuronomico.

 Ricordatevelo quando voterete.

E ricordatevi di questi ego-nomisti millantatori di riconquiste di presunte sovranità perdute, di questi Varoufakis della situazione, che si propongono alla guida dell’economia del Paese senza neanche sapere come di fatto funzionano la finanza di una pubblica amministrazione, da una parte, e i meccanismi di creazione monetaria, dall’altra.

 

Ugo Genovesi

24/02/2018