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L'immoralità dell'evasione fiscale e il silenzio sull'istigazione al suicidio

Il biblista cardinale arcivescovo Gianfranco Ravasi in data 17/04/2014 firmava un articolo sulla rivista Famiglia Cristiana dal titolo: “Gesù pagava le tasse? Ecco quel che dicono i Vangeli.”(1)

Dall'analisi fatta dal Cardinale emerge l'immoralità dell'evasione fiscale, senza mezzi termini. Infatti nell'articolo si legge che «L’evasione fiscale è una malattia sociale ed è un peccato morale. Bisogna dirlo chiaro senza tanti alibi o giustificazioni legate alla corruzione politica o alla costosa inerzia burocratica (che sono altrettanti morbi sociali e colpe morali)» facendo proprio riferimento al passo del Vangelo narrato solo da Matteo in cui si racconta di un Gesù nell'atto di pagare la tassa relativa al «tributo giudaico annuale destinato al tempio e al sostentamento del “clero” ebraico», anche se Gesù mostra qualche riserva nel doverla pagare ma che alla fine, «per non essere motivo di scandalo» ordina a Pietro di procurarsi la moneta d'argento, per pagare la tassa di un didramma, che poteva reperire all'interno della bocca di un pesce. Noi adesso non sappiamo se quel pesce avesse ingerito la moneta d'argento o se fosse stata creata ex-nihilo per l'occasione. Nel primo caso, dal punto di vista umano, ci saremmo trovati di fronte ad un ritrovamento dal sapore “possesso vale titolo”, come la pepita d'oro degli esempi di Auriti, mentre nel secondo caso saremmo di fronte ad un miracolo ed alla creazione riservata solo a Dio, la creazione dal nulla. In entrambi i casi Gesù non ha fatto nessuna fatica lavorativa per procurarsi la moneta utilizzata per pagare la tassa; resta la fatica Divina, quella sì.

In quel periodo quei territori erano sotto il dominio di Roma che schiavizzava popoli interi proprio obbligando i sottomessi al pagamento delle tasse imponendo la propria moneta, quella stessa moneta citata nel più famoso passo del Vangelo del «Date a Cesare quel che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio». Chi non aveva la moneta di Cesare doveva procurarsela vendendo i propri beni o cambiando la propria valuta dai cambiavaluta, i famosi mercanti del tempio presi a pedate proprio da Gesù, anche lì narrato dai Vangeli, presi a pedate perché rei di aver limato o grattato più metallo del dovuto, aumentando il differenziale tra valore nominale della moneta e valore merceologico, a vantaggio dell'esattore e a svantaggio del tassato.

Riguardo al «date a Cesare quel che è di Cesare...» il passo è stato di ispirazione per un altro articolo apparso sul giornale Avvenire il 19/10/2017, a firma di Ermes Ronchi, dal titolo “A Cesare ciò che è di Cesare. E noi siamo del Signore”(2). In quell'articolo leggiamo che «Rendete a Cesare, vale a dire pagate tutti le imposte per servizi che raggiungono tutti. Come non applicare questa chiarezza immediata di Gesù ai nostri giorni di faticose riflessioni su manovre finanziarie, tasse, fisco; ai farisei di oggi, per i quali evadere le imposte, cioè non restituire, trattenere, è normale?».

In questa sede non mettiamo in discussione il messaggio religioso ed il dogma dell'infallibilità pontificia ma abbiamo senz'altro qualcosa da ridire circa l'infallibilità di questo tipo di catechesi che si regge su assunti fuorviati e di conseguenza fuorvianti a loro volta. In precedenza abbiamo accennato al dominio degli antichi Romani che si manifestava attraverso l'imposizione di una moneta da loro coniata. Nel diritto romano, inoltre, vi era un chiaro principio di rispondenza tra servizio erogato e giusto prezzo del servizio. Pertanto, visto con gli occhi di oggi, la tassa di quel tempo era il giusto corrispettivo che si instaura tra Pubblica Amministrazione e Cittadino; il cittadino paga per ottenere un preciso servizio, quindi il pagamento è la risultanza di un atto di scambio. La tassa è un atto di scambio mentre l'imposta no.

Le definizioni di tassa si allineano su questi contenuti:

La tassa è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione ad un'utilità che egli trae dallo svolgimento di un'attività statale e/o dalla prestazione di un servizio pubblico.

La definizione di imposta invece è:

L'imposta si caratterizza per il fatto che il suo presupposto - evento valutabile economicamente - è realizzato dal soggetto passivo e non presenta alcuna relazione con lo svolgimento da parte dell'Ente pubblico di una particolare attività o di un servizio.

Chiara la differenza? E tutto questo cosa c'entra con l'immoralità (presunta) dell'evasore? Per spiegarlo ci viene in soccorso il Professor Auriti e la sua tesi sulla Proprietà popolare ed il valore indotto della moneta. Lui ha dimostrato che la moneta, all'atto dell'emissione, nasce di proprietà del popolo perché questi la utilizza per convenzione e fiducia. Tale convincimento fa sì che la moneta che noi utilizziamo per tutte le nostre transazioni non può che appartenere a tutti noi, a tutti i popoli ognuno con la propria moneta. L'esperimento del SIMEC non ha fatto altro che dare evidenza empirica ad oltre quaranta anni di studi e di processi evolutivi. L'induzione è pertanto un sentimento che non può essere esercitato in senso monopolistico dal sistema bancario ma deve essere reso libero ed a disposizione del genere umano. La moneta, all'atto dell'emissione, pertanto, non è materia ma spirito dell'uomo, spirito che per manifestarsi ha dovuto fare i conti col mondo sensibile e comprensibile dell'uomo palesandosi sotto forma di metallo, metallo prezioso, carta e bit. In questo particolare periodo vi è commistione tra il momento dell'emissione ed il momento della circolazione, tra pensiero e merce e fino a quando non vi sarà la distinzione e la comprensione di questi due momenti verrà normale affermare che chi non paga le tasse è immorale. In questo momento di commistione il sistema bancario si è appropriato del sentimento dell'uomo e lo ha reso schiavo chiedendo indietro e con gli interessi quello spirito che non gli appartiene. La moneta in circolazione viene emessa solo prestando e, nel caso del debito pubblico che deve essere coperto con le entrate tributarie, è la risultante di tutti gli interessi passivi che si sono stratificati nel corso degli anni, interessi che formano il debito pubblico e che senza oneri finanziari non esisterebbe. In tali condizioni le imposte (non le tasse) sono solo una una rendita parassitaria di signoraggio”, e gli esseri umani sono costretti o alla schiavitù o al suicidio per insolvenza perché il sistema bancario presta quello che è nostro e che non è suo. L'obbligo del pagare i tributi deriva da una legge umana, dal diritto tributario, ma questo non vuol dire che le leggi siano tutte moralmente inattaccabili. Causò una levata di scudi da parte del clero l'approvazione della Legge sul diritto all'aborto, per esempio.

In questo caso si rischia di vedere la pagliuzza dell'immoralità e non la trave della riduzione in schiavitù, dell'induzione al suicidio e del suicidio che sono tutti peccati mortali. Come esseri umani abbiamo il dovere morale per far si che queste cose non accadano. Come cristiani (per chi lo è) c'è un obbligo preciso di salvare le anime, sia quelle che inducono al suicidio e sia quei poveri che si suicidano. E di anime ne abbiamo perdute, dal 2012 al primo semestre 2018, ben 937 in Italia(3).

 

Massimiliano Scorrano

 

note

(1)   http://www.famigliacristiana.it/blogpost/gesu-pagava-le-tasse-ecco-quel-che-dicono-i-vangeli.aspx

(2)   https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/a-cesare-cio-che-e-di-cesare-e-noi-siamo-del-signore

(3)   https://osservatoriosuicidi.unilink.it/dati/